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La prematura scomparsa del genio Bobby Fischer - avrebbe compiuto 65 anni il 9 marzo - non passa inosservata nemmeno per le centinaia di nostri appassionati che con minore o maggior frequenza e talento, amano dilettarsi con il Gioco dei Re. Ricordo che scoprii gli scacchi proprio in quel remoto 1972, alla tarda età di 27 anni, grazie al mio fratello e maestro Francesco Maria. Orfani di padre da 8 anni, di lui conservavamo gelosamente una pregiata versione francese di pezzi lignei. Scrivevamo ogni singola mossa nel block-notes e non possedendo il classico orologio degli scacchi a due quadranti, sopperivamo goffamente con quello da polso nella sua funzione di cronometro. Il contemporaneo crescendo di imprese di Fischer che a Rejkyavik stava "day by day" disintegrando il grande campione russo Boris Spasskij (persona squisita che poi avemmo il piacere di conoscere personalmente a Reggio Emilia alla fine degli anni '70), dopo una clamorosa rimonta di 2 sconfitte iniziali (una senza giocare), non facevano che soffiare sulle ardenti braci del nostro giovanile entusiasmo. Qui da noi, come del resto in Italia e nel mondo, più della metà dei praticanti oggi ultracinquantenni, devono la loro confidenza con il gioco a quella sfida ormai entrata nella mitologia commemorativa. 3 anni più tardi, nel 1975, dovendo difendere il titolo contro l'astro nascente Anatolij Karpov (con cui ebbi la tanto incredibile quanto immeritata fortuna di pareggiare a Modena nel gennaio 1991), pupillo del 2 volte capo di stato Leonid Breznev, Fischer si dileguò e la sua vita divenne un inarrestabile crescendo di mistero e scelleratezza. Sì, con lui muore una parte della nostra giovinezza. Quella capace di credere che se davvero Dio arma la mano di David (lo statunitense che contava sulle sue sole forze), per Golia (lo Spasskij che aveva con sé la gigantesca ed invincibile macchina da guerra della scuola sovietica) non c'è che la irrimediabile sconfitta.
Leone Pantaleoni
Presidente Circolo Scacchistico Pesarese

B.Fischer negli anni '70
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